mercoledì 25 settembre 2013

I miei vaghi buoni propositi


Eccomi qua. Già nell’introdurre questo blog si fa sentire quella che sarà la mia principale difficoltà (a parte la completa e disarmante ignoranza in campo informatico): ci sono tantissime cose che vorrei comunicare, idee, pensieri, seghe mentali di vario genere e varia entità, ma non so da dove cominciare e come.

Forse posso partire spiegando chi sono e come mi è saltato in mente di iniziare questa attività (pfff! Come se lo sapessi davvero…). Mi chiamo Lorenzo, ho 21 anni e ho sempre pensato dannatamente troppo. È una condizione che ha i suoi pro e i suoi contro. Da una parte una certa tendenza alla malinconia, una vaga vocazione all’asocialità e all’eremitaggio e qualche difficoltà nel capire quali comportamenti assumere in determinate situazioni sociali, dall’altra una sincerità completa e quasi brutale, la capacità di mettere in discussione me e le mie idee, nonché di cambiarle se i fatti mi danno torto e, nonostante l’incazzosità ereditata dal lato materno della mia famiglia, la forte convinzione di poter comprendere meglio le cose (e cambiarle, se necessario) col dialogo e il confronto piuttosto che con uno scontro frontale.

Oltre che uno che pensa tanto (scusate il giro di parole, ma mi sentirei pomposo e arrogante a definirmi “pensatore”), sono anche uno che scrive (via, “scrittore” posso anche dirlo). Racconti, un paio di canzoni, qualche vago e perlopiù malriuscito tentativo poetico e teatrale. Soprattutto romanzi, due finora all’attivo (più alcuni progetti in fieri). Il primo è un fantasy scritto da ragazzino (terminato a 16 anni) e decisamente dimenticabile, anche se forse con qualche spunto che si può apprezzare. Col secondo, invece, una sorta di giallo/thriller, credo di aver fatto un buon lavoro e da quasi due anni ormai mi guarda con espressione accusatoria dallo scaffale chiedendo silenziosamente “perché non ti impegni per farmi pubblicare, imbecille?”

Questo fatto di scrivere, ovviamente, non fa che peggiorare il mio vizio di pensiero ossessivo/compulsivo (sì, si può essere ossessivo/compulsivi nel pensare, basta nascere col “gene della speculazione filosofica ad minchiam e della sega mentale galattica”); di conseguenza passo ore ad atomizzare le gonadi dei miei amici più cari con le mie riflessioni al tempo stesso profonde e contraddittorie come il gelato al merluzzo, un giorno piene di fiducia e amore verso il prossimo e di assoluto “don’t-worry-be-happy”, il giorno dopo di un disfattismo pessimistico che neanche Giacomo Leopardi dopo aver preso un palo.

Dunque, punto primo: perché devono rimetterci sempre gli stessi, se mi gira di esprimere tutta questa roba che se ne sta lì a ribollire in sottotraccia, tenuta a bada da un carattere fondamentalmente pacifico, razionale e poco emotivo? Punto secondo, sono in grado, all’occorrenza, di trasformare un pensiero che fatico a spiegare a voce in un testo scritto coerente e sensato che parli chiaro, senza bisogno del filtro della narrazione? (tradotto per chi non ha capito una leppa, nonostante il mio buon proposito: quando scrivo un libro o un racconto, esprimo comunque idee e opinioni, ma lo faccio in maniera indiretta, tramite la narrazione, col rischio di banalizzare e/o essere frainteso, cosa che non succederebbe se riuscissi a tenere un blog decente)

Voglio ritrovarmi non solo a esprimere opinioni, ma anche a discutere con chi la pensa diversamente, nel segno della civiltà e del rispetto (okay, questa è una mega utopia leggendaria di quarto livello, sicuramente, ammesso che qualcuno mi si fili, prima o poi salteranno fuori insulti e malintesi, ma spero non da parte mia). Voglio dare una forma scritta alla mia forma mentis, così difficile da interpretare, come quella di chiunque abbia l’ottima e insana abitudine di farsi domande a raffica. Voglio parlare un po’ di tutto ma cercando di “stare sul pezzo”, dedicandomi a un argomento per volta e sviscerandolo per bene, anche con l’aiuto di chi vorrà sostenermi oppure dirmi “guarda che stai dicendo una cazzata per il tale e il talaltro motivo”.

Inizialmente, per quest’ultimo proposito di libero pensiero chiuso però in una forma accettabile e comprensibile e non ermetico e incomprensibile (non sarò mai un bravo poeta), il blog doveva chiamarsi “Pensieri in libertà vigilata”. Ma qualcuno ci aveva già pensato prima del sottoscritto e il titolo era già preso. Così ho scelto “Fuga da Flatlandia”.

Non so se ce l’avete presente, Flatlandia. È un romanzo scritto in Inghilterra in epoca vittoriana (quella di Sherlock Holmes e Jack lo Squartatore, per intenderci) che parla di un mondo a due dimensioni, dove vivono creature a forma di figure geometriche, con tanti più lati quanto più in alto si trovano sulla scala sociale (ma le donne sono semplici linee: l’emancipazione era ancora un bel po’ di là da venire). Il quadrato protagonista, grazie alla visita di un ospite da un altro mondo, scoprirà l’esistenza di una terza dimensione. Io penso a Flatlandia come metafora di un pensiero piatto, a due dimensioni, ristretto e chiuso, incapace di aprirsi al dialogo, alla comprensione e a un’autentica ricerca della verità. Bisogna davvero scappare da un mondo simile, che poi è quello che ci circonda sempre, che ci influenza e rinchiude la nostra mente in una gabbia di nozioni, dogmi e preconcetti.

Il mio non è il solito bla-bla-bla su quanto sia terribile e malvagia la società moderna: in realtà, ciascuna a suo modo, ogni epoca ha avuto il suo modo di limitare il pensiero umano. Anzi, siamo più chiari: non l’hanno fatto le epoche, lo abbiamo fatto noi. Noi, per comodità, ci siamo rinchiusi nelle gabbie del conformismo, delle religioni, delle ideologie, eccetera eccetera. Non è facile uscire dagli schemi preconfezionati e quando qualcuno lo fa, di solito è solo per crearsene subito di nuovi, prendendoli da una qualche cultura “alternativa” o immaginandoseli da solo. Esce dalla grigia cella del conformista per andarsi a rinchiudere in una prigione più di suo gradimento, magari con pareti dipinte e un comodo lettino, ma senza scomodarsi ad andare a dare un’occhiata fuori. Fuori dalla sua Flatlandia personale.

 

Ps: C’è un’altra impresa a cui mi dovrò dedicare con questa attività, molto più prosaica e che non c’entra nulla col pensiero mio e degli altri: scoprire come fare a inserire immagini, a personalizzare la grafica del blog e capire, in sostanza, come funziona tutta la parte tecnica nonostante le mie conoscenze di informatica siano pari a quelle di un ottantenne.